Appena oltrepasso il grande cancello arrugginito il rumore della caotica strada che lo costeggia si dissolve nel silenzio, una strana ed intrigante sensazione di pace e benessere mi avvolge, sono sicuro che sarà una bellissima, seppur non urbex, esplorazione.
Prima che questo cimitero fosse eretto le spoglie degli appartenenti alla nazione olandese-alemanna trovavano dimora in quello che era chiamato il “Giardino Olandese” luogo di riposo eterno e di fiori curati, ci si immergeva nel profumo e nei colori e si salutavano i propri cari dopo il loro tramonto.
Nel 1835 con la costruzione della nuova cinta daziaria e per volere delle autorità civili ed ecclesiastiche i nove cimiteri acattolici presenti a Livorno, città delle nazioni per eccellenza, furono trasportati in periferia all’esterno dei nuovi confini urbani.
Nel 1840 la nazione degli olandesi-alemanni e quella dei greci-ortodossi acquistarono un terreno e lo suddivisero a metà mantenendo in comune la casa del custode, ognuna creò il proprio spazio per i defunti dando vita perenne alla morte del corpo ma non dello spirito.
Cammino lentamente cercando con cura di non calpestare le tombe che sono tutte a terra, allineate, le poche lapidi verticali, spoglie ed essenziali, si fondono con gli alberi e le piante che le circondano creando un mistico ed accogliente giardino nel quale è semplice lasciarsi andare ed ascoltare i loro racconti.
Non vi sono né foto né effigi, non vi sono grandiose sculture, il protestantesimo non ha il culto dei morti, non vi sono messe di suffragio, nessuno intercede per i defunti, è Cristo l’unico mediatore tra Dio e gli uomini.
La mattina scorre veloce, forse troppo, non è mai semplice raccontare per immagini un cimitero senza cadere nello scontato, nel già visto.
Ho cercato di immaginarlo non come singole storie che possono essere tremendamente crudeli ed ingiuste, ma come luogo dove l’impermanenza, motore essenziale dell’esistenza, trova la sua accogliente dimora e fa si che ognuno non venga mai dimenticato e la vita perpetui il suo divenire.
Non mi ero sbagliato è stata una bellissima esplorazione che porterò per sempre con me.