E’ uscendo e reimmergendomi nella luce di una tiepida mattinata primaverile che veramente capisco le sensazioni che l’esplorazione di questa casa mi ha elargito.
Non ho appiccicato addosso lo sgradevole odore che, per vari motivi, spesso i luoghi abbandonati diffondono nell’aria, ho appiccicato addosso l’odore della vita, quella vera, che prima o poi, a meno che l’instancabile signora non arrivi improvvisamente, ognuno di noi incontrerà e si ritroverà fragile, confuso, indifeso.
Casa famiglia, casa di riposo, RSA accolgono esistenze diverse che hanno però in comune la necessità di trovare un rifugio che le accompagni e le sostenga quando il tramonto comincia ad affievolire definitivamente i suoi colori e la notte ammicca silenziosa.
Ho appiccicato addosso l’odore dei ricordi, di porte che non si aprono in attesa delle persone care, delle difficoltà a pensare, immaginare, camminare, leggere e parlare, di intimità violate per le elementari esigenze corporali, ho appiccicato addosso l’odore della libertà persa ma mai dimenticata che gli ospiti che hanno attraversato questa casa hanno tutti indistintamente provato.
Entrare nella casa abbandonata dei fragili non è stata una semplice esplorazione urbex ma un emozionante viaggio dentro vite sconosciute che ancora raccontano una storia senza fine.
Riprendo il cammino e mi sovviene un pensiero di Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65 d. C.) "Niente dura sempre, poche cose a lungo; varia solo il loro modo di essere fragili, il loro modo di finire, ma tutto ciò che ha avuto un inizio avrà anche una fine."